M1. LE RIVOLUZIONI ALL’ORIGINE DEL MONDO CONTEMPORANEO
Introduzione
1. Guerra d’indipendenza americana
1.1 La colonizzazione del Nord America
1.2 Chi erano i coloni americani
1.3 Le tredici colonie americane, differenze e tratti comuni
1.4 I primi moti di ribellione
APPROFONDIMENTO “La Dichiarazione d’Indipendenza”
1.5 La guerra d’indipendenza (1775-1781)
1.6 Nascita degli Stati Uniti d’America
1.7 La Costituzione degli Stati Uniti d’America
2. La rivoluzione francese
2.1 Le radici della Rivoluzione francese, il movimento illuminista
2.2 La Rivoluzione
APPROFONDIMENTO: “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”
2.3 Dalla fine della Convenzione all’ascesa di Napoleone Bonaparte
APPROFONDIMENTO: “Napoleone Bonaparte”
3. Prima rivoluzione industriale
3.1 Introduzione
3.2 Produzione artigianale e produzione industriale
3.3 Origine della rivoluzione industriale in Inghilterra
3.4 I più significativi mutamenti legati allo sviluppo della civiltà industriale
Introduzione
Negli anni conclusivi del XVIII secolo si collocano tre eventi che possiamo considerare all’origine del mondo occidentale contemporaneo:
· Guerra d’indipendenza americana
· Rivoluzione francese
· Prima rivoluzione industriale
Tutti e tre questi eventi non accadono in modo casuale essi possono essere considerati come il momento conclusivo di un mutamento iniziato diversi secoli prima, all’inizio del secondo millennio. È nei secoli del Basso Medioevo che si colloca, infatti, la nascita di una diversa prospettiva nel collocare l’uomo nell’universo: con l’aiuto degli autori classici, riscoperti proprio in questi secoli dagli umanisti, si riconosce nuovamente il valore dell’uomo nelle diverse espressioni della sua vita terrena. Le diverse scienze si emancipano dalla teologia, acquisendo una graduale indipendenza. Ormai l’uomo, non più soggetto al principio di autorità, vuole decidere in modo autonomo per ottenere quello che ritiene il proprio bene.
Dalla rivalutazione umanistica delle capacità dell’uomo si è quindi passati, nei secoli successivi, alla esaltazione di quella che è una prerogativa dell’essere umano: la ragione. Secondo gli ideali illuministici la luce della ragione sarebbe servita ad illuminare le tenebre della superstizione e dell’ignoranza.
Ebbene i tre eventi sopra indicati come all’origine dell’età contemporanea sono direttamente (e indirettamente) legati all’Illuminismo, inteso, secondo il pensiero di Kant, come l’uscita per l’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso.
L’uomo contemporaneo ormai non si accontenta più della parte di comparsa, egli vuole essere il protagonista del proprio destino.
1. Guerra d’indipendenza americana
1.1 La colonizzazione del Nord America
Immediatamente successive alla scoperta di Colombo vi fu: da un lato l’occupazione territoriale del Sud America, da parte di spagnoli e portoghesi, dall’altro un proseguo di esplorazioni verso nord grazie alle quali si comprese l’enorme estensione del nuovo continente da poco scoperto.
Protagonisti delle esplorazioni del nord del continente non sono più gli spagnoli o i portoghesi, bensì altri tre importanti paesi europei: Inghilterra, Olanda, Francia, impegnati a recuperare lo svantaggio accumulato rispetto ad altri paesi.
Gli inglesi e gli olandesi occuparono vasti territori sulla costa atlantica a nord dei possedimenti spagnoli, e a nord dei possedimenti inglesi e olandesi si posizionò la Francia.
1.2 Chi erano i coloni americani
A metà del Settecento il numero di coloni presenti sul territorio americano controllato dall’Inghilterra era di circa quattro milioni di persone (compresi gli schiavi neri provenienti dall’Africa).
I ceti di provenienza erano diversificati, dal più umile al signore che aveva ricevuto dal re l’incarico di sfruttare i grandi appezzamenti di terreno. Anche i paesi di provenienza erano i più disparati, naturalmente la prevalenza della popolazione era inglese, ma accanto agli inglesi si trovavano olandesi, tedeschi, irlandesi, polacchi, ecc.
I motivi che avevano spinto queste persone ad abbandonare i loro paesi per tentare la fortuna in America erano i più diversi, possiamo, tuttavia, individuare due principali motivazioni:
· Il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita
· La ricerca della libertà religiosa e politica, negata in patria
Certo tra i coloni si poteva trovare anche colui che fuggiva dal proprio paese perché ricercato per un delitto, o per altri particolari motivi, ma erano casi isolati.
Nelle motivazioni indicate vi sono quelli che rappresentano ancora oggi i caratteri distintivi della società americana, ossia l’intraprendenza del singolo e lo spirito di libertà dominante.
1.3 Le tredici colonie americane, differenze e tratti comuni
Alla metà del XVIII secolo i territori sulla costa atlantica dell’America Settentrionale erano suddivisi in 13 colonie, che possiamo raccogliere, in base alle caratteristiche sociali ed economiche, in tre gruppi:
· Colonie del nord (Massachusetts, New Hampshire, Rhode Island, Connecticut)
· Colonie del centro (New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware)
· Colonie del sud (Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia)
Le 13 colonie inglesi sulla costa atlantica dell’America Settentrionale
Le colonie del nord si caratterizzavano per la presenza di importanti città portuali dedite alla pesca e al commercio; l’agricoltura era in mano a piccoli e medi proprietari.
Le colonie del centro avevano sviluppato un notevole commercio e un’agricoltura gestita da grandi proprietari, senza l’utilizzo di schiavi.
Le colonie del sud si distinguevano nettamente dalle altre colonie per la scarsa presenza della classe media e per un tipo d’agricoltura nella quale dominavano le grandi piantagioni lavorate dagli schiavi neri.
1.4 I primi moti di ribellione
I motivi dello scontro
Non esiste un motivo unico che ha spinto i coloni americani ad entrare in conflitto con la madre patria inglese per ottenere l’indipendenza, diverse, e di diverso carattere, sono, infatti, le motivazioni:
· I limiti territoriali imposti
· Motivazioni economiche
· Motivazioni politiche
Per quanto attiene ai limiti territoriali è necessario ricordare come l’Inghilterra avesse preso degli accordi territoriali con le popolazioni native. Secondo questi accordi i coloni americani non potevano occupare territori ad ovest oltre un limite di confine stabilito. Chiaramente questo accordo danneggiava gli interessi dei coloni che sentivano sempre più l’esigenza di ampliare la quantità di territori occupati.
Altro motivo di ribellione è legato all’imposizione agli americani di stretti limiti produttivi e commerciali. Questi non potevano produrre merci se andavano in concorrenza con la produzione inglese; nei commerci internazionali i coloni erano costretti ad importare merci dall’Inghilterra e solo in questa esportare i propri prodotti. Per i diversi commerci con l’Inghilterra dovevano utilizzare navi inglesi.
Da un punto di vista politico i coloni subivano l’imposizione di tasse da parte del governo inglese, senza vedere riconosciuto il diritto di rappresentanza in parlamento e questo non era più tollerato.
Le fasi iniziali della ribellione
Le tensioni tra coloni e governo di Londra si trasformarono in aperta ribellione nel 1765 quando si cercò di imporre agli americani una tassa sui documenti stampati, sui giornali, sugli atti legali; di fronte al netto rifiuto dei coloni il governo fu costretto a ritirare il provvedimento, si era così messo in moto un meccanismo che avrebbe portato, dopo pochi anni, allo scontro armato …
I congressi di Filadelfia del 1774 e del 1776
Nel 1774 si riunì a Filadelfia il primo congresso dei rappresentanti delle colonie. Dopo aspre discussioni, diversi coloni non erano d’accordo, si decise il costituirsi di un esercito, il cui comando fui affidato a George Washington.
Nel 1776, durante le fasi iniziali dello scontro armato, i rappresentanti dei coloni si ritrovarono a Filadelfia e il nuovo congresso produsse la “Dichiarazione d’indipendenza”, firmata da tutti i rappresentanti presenti al congresso. La dichiarazione d’indipendenza americana ha un’importanza storica enorme, per la prima volta gli uomini si ribellavano all’autorità costituita in nome di diritti ritenuti inalienabili:
· La vita
· La libertà
· La ricerca della felicità
Considerata l’importanza del documento, questo viene presentato, e discusso, nell’approfondimento.
APPROFONDIMENTO ........! |
Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti SOMMARIO —
Proclamata il 4 luglio 1776 dalle colonie britanniche, rappresenta
l’atto di nascita di un nuovo Stato, la prima cosciente reazione allo
sfruttamento coloniale, la prima netta motivazione scritta di azione
politica non in nome di tradizionali diritti storici, ma degli inalienabili
diritti naturali dell’uomo: la vita, la libertà, la ricerca della felicità.
Giorgio III è un tiranno che vuole stabilire nelle colonie un assolutismo
dispotico. Le leggi della Natura, il Dio della Natura danno diritto al
popolo delle colonie di proclamarsi indipendenti e di assumere lo stato di
potenza tra le potenze della terra. L'Unanime Dichiarazione dei Tredici Stati Uniti d'America. Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto ad un altro popolo ed assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata ed uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell'umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità. Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine; e in conseguenza l'esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d'un malgoverno finché siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all'assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l'avvenire. Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo. Quella dell'attuale re di Gran Bretagna è storia di ripetuti torti e usurpazioni, tutti diretti a fondare un'assoluta tirannia su questi Stati. Per dimostrarlo ecco i fatti che si sottopongono all'esame di tutti gli uomini imparziali e in buona fede.
Egli ha abdicato al suo governo qui, dichiarandoci privati della sua protezione e facendo guerra contro di noi. Egli ha predato sui nostri mari, ha devastato le nostre coste, ha incendiato le nostre città, ha distrutto le vite del nostro popolo. Egli sta trasportando, in questo stesso momento, vasti eserciti di mercenari stranieri per completare l'opera di morte, di desolazione e di tirannia già iniziata con particolari casi di crudeltà e di perfidia che non trovano eguali nelle più barbare età, e sono del tutto indegni del capo di una nazione civile. Egli ha costretto i nostri concittadini fatti prigionieri in alto mare a portare le armi contro il loro paese, a diventare carnefici dei loro amici e confratelli, o a cadere uccisi per mano di questi. Egli ha incitato i nostri alla rivolta civile, e ha tentato di istigare contro gli abitanti delle nostre zone di frontiera i crudeli selvaggi indiani la cui ben nota norma di guerra è la distruzione indiscriminata di tutti gli avversari, di ogni età, sesso e condizione. Ad ogni momento mentre durava questa apprensione noi abbiamo chiesto, nei termini più umili, che fossero riparati i torti fattici; alle nostre ripetute petizioni non si è risposto se non con rinnovate ingiustizie. Un principe, il cui carattere si distingue così per tutte quelle azioni con cui si può definire un tiranno, non è adatto a governare un popolo libero. E d'altra parte non abbiamo mancato di riguardo ai nostri fratelli britannici. Di tanto in tanto li abbiamo avvisati dei tentativi fatti dal loro parlamento di estendere su di noi una illegale giurisdizione. Abbiamo ricordato ad essi le circostanze della nostra emigrazione e del nostro stanziamento in queste terre. Abbiamo fatto appello al loro innato senso di giustizia e alla loro magnanimità, e li abbiamo scongiurati per i legami dei nostri comuni parenti di sconfessare queste usurpazioni che inevitabilmente avrebbero interrotto i nostri legami e i nostri rapporti. Anch'essi sono stati sordi alla voce della giustizia, alla voce del sangue comune. Noi dobbiamo, perciò, rassegnarci alla necessità che denuncia la nostra separazione, e dobbiamo considerarli, come consideriamo gli altri uomini, nemici in guerra, amici in pace. Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d'America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell'Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l'autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: Che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegnamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore.
John Mancock (Seguono 55 firme di Rappresentanti dei 13 Stati) |
1.5 La guerra d’indipendenza (1775-1781)
Gli episodi di tensione tra inglesi e coloni si intensificarono dopo il 1770 (vivo è rimasto il ricordo dello scontro avvenuto a Boston nel 1770 che provocò la morte di alcuni coloni), fino a raggiungere, nel 1775, le dimensioni di una vera e propria guerra.
Gli eserciti in lotta
Improprio sarebbe definire “esercito” l’insieme di circa 20.000 uomini che volontariamente avevano abbandonato le loro famiglie per difendere la causa. Il contrasto si fa ancora più netto se si considera che dall’altra parte si trovava a combattere l’esercito di sua maestà Giorgio III, probabilmente, allora, il miglior esercito al mondo, formato da dei professionisti della guerra.
Disciplina, abilità, competenza, armamento, tutti questi fattori erano a favore dell’esercito inglese, lo spirito che animava i combattenti era però profondamente diverso, gli inglesi combattevano per la gloria della corona e per lo stipendio, i coloni per la loro libertà e per garantire un futuro migliore ai loro figli, alla lunga saranno questi ultimi ad avere la meglio.
La guerra
La guerra si protrasse, con fasi alterne, dal 1775 al 1781 con esito favorevole per i coloni americani. Determinante fu l’aiuto che i coloni ricevettero dalla Spagna e dalla Francia. In particolare la Francia inviò ai coloni notevoli aiuti economici e militari.
Il trattato di pace di Versailles del 1783
Con il trattato di Versailles venne riconosciuta l’indipendenza delle colonie, la nascita degli Stati Uniti d’America era ormai prossima.
1.6 Nascita degli Stati Uniti d’America
Conquistata l’indipendenza, si trattava ora di decidere quale avrebbe dovuto essere l’assetto istituzionale delle tredici colonie unite. In particolare si doveva decidere tra struttura confederale e struttura federale.
Nella struttura confederale le tredici colonie avrebbero mantenuto l’indipendenza e la sovranità sul proprio territorio, il governo centrale avrebbe gestito solo alcuni limitati poteri.
La struttura federale, invece, prevedeva che l’unione dei diversi stati desse luogo ad un vero e proprio Stato unitario, lasciando ai diversi Stati membri margini d’autonomia legislativa su alcune materie.
Alla fine i rappresentanti delle colonie scelsero la struttura federale (che garantiva una maggior forza all’insieme), e nel corso del 1787 venne elaborata la costituzione del nuovo stato (entrata in vigore nel 1788). George Washington fu eletto, nel 1789, presidente degli Stati Uniti d’America.
Diversi sono gli elementi che accomunano i diversi stati degli Stati Uniti:
· Presidente e governo centrale
· Moneta
· Politica estera
· Esercito
· Il parlamento centrale (chiamato Congresso)
Un discreto margine di autonomia si mantenne nell’amministrazione della giustizia (oggi ad esempio in alcuni Stati non è più in vigore la pena di morte, mentre in altri sì), nella scuola, nella gestione dei servizi sociali.
1.7 La “Costituzione” degli Stati Uniti d’America
Ispirata ai principi illuministi, la costituzione americana, ancora oggi in vigore nel suo impianto originario, garantisce la netta divisione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) così come indicato da Montesquieu; garantisce, inoltre, a tutti i cittadini la libertà di manifestare il proprio pensiero e di vivere le proprie convinzioni religiose e politiche.
Questo Paese, nato con il contributo di cittadini provenienti da paesi diversi con tradizioni e visioni politiche e religiose di natura diversa, ha fatto della libertà il suo punto di forza
2. La rivoluzione francese
2.1 Le radici della Rivoluzione francese, il movimento illuminista
Non è possibili comprendere la Rivoluzione francese se non si conosce il pensiero illuminista.
Possiamo affermare che la Rivoluzione francese (assieme a quella Americana) rappresenta la realizzazione storica concreta del pensiero illuministico.
L’Illuminismo è stato un grandioso movimento di pensiero che dominò gran parte del ‘700 europeo concentrandosi soprattutto in Francia.
Nonostante la molteplicità d’orientamenti con cui l’illuminismo si manifestò nei diversi paesi europei, vi sono delle caratteristiche che possiamo definire comuni:
1. Convinzione dei poteri enormi della ragione
La ragione ha il compito di illuminare(da qui il nome illuminismo), rischiarare il cammino dell’uomo. Ogni uomo è dotato di ragione ed è quindi in grado di analizzare la realtà che lo circonda ed eventualmente modificarla, per assicurare il benessere e la felicità di tutti. L'azione finalizzata a migliore le condizioni sociali e politiche di tutti è, per l'illuminista, un dovere dettato dalla ragione.
2. Carattere laico del movimento, che si pone in aperta polemica con la Chiesa
Principali bersagli polemici degli illuministi furono la Chiesa e in generale tutte le confessioni religiose, considerate fonti di ignoranza, di superstizione e di pregiudizi. In tal senso il movimento illuministico si può considerare profondamente laico.
3. Fiducia nel progresso, inteso come graduale incivilimento
Esiste negli illuministi la convinzione che lo svolgimento storico rappresenti un processo di graduale incivilimento in cui l'azione degli uomini è fondamentale. In questo senso essi si oppongono alla visione teologica secondo la quale nella storia si manifesta un disegno divino, senza molte possibilità di intervento per l'uomo.
4. Nuova concezione politica: tutti i cittadini, liberi e uguali, partecipano alla gestione del potere
politico
Il principale esponente del nuovo pensiero politico è Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). Secondo Rousseau gli uomini nello stato di natura (prima di unirsi in società politiche) vivono felici, liberi e uguali, (si noti come tale concezione sia opposta a quella di Hobbes e del giusnaturalismo) è stata l’introduzione della proprietà privata ad introdurre nei rapporti tra gli uomini la violenza e la sopraffazione. Nella sua opera “Contratto sociale” (1762) Rousseau ipotizza un patto tra gli uomini, i quali si uniscono rinunciando ai loro interessi particolari in funzione del bene comune. Diversamente da quanto teorizzato da Hobbes, l’uomo non deve rinunciare ad una partecipazione del potere politico, secondo Rousseau ogni cittadino deve partecipare direttamente alla gestione della politica in una forma di democrazia diretta (senza delegare qualcuno a rappresentarci), esercitata dal popolo riunito in assemblea. Lo stesso Rousseau riconosceva, comunque, delle difficoltà nell’esercizio della democrazia diretta, realizzabile facilmente in piccole comunità (quali quelle dei cantoni svizzeri) ma di difficile realizzazione in nazioni grandi come la Francia. Per le sue idee il filosofo ginevrino (nato a Ginevra) venne considerato tra i padri ispiratori della Rivoluzione francese, e come tale venerato. Il pensiero di Rousseau sarà alla base della moderna concezione dello Stato democratico.
5. Importanza riservata alla cultura, a cui è necessario dare la massima diffusione
Se ogni uomo possiede la ragione, è fondamentale per i pensatori illuministi dare la massima diffusione alla cultura e alle nuove idee per farle conoscere a quante più persone possibile. L’intellettuale illuminista è perciò, innanzitutto, un divulgatore, convinto com’è che i poteri della ragione e dell’educazione possono vincere l’ignoranza e l’arretratezza culturale. In questo contesto si spiega la nascita e la diffusione dell’opera collettiva ”Enciclopedia” o “Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri” pubblicato in 17 volumi di testo tra il 1765 e il 1772 (nonostante il divieto del re).
6. Necessità della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario)
Una delle maggiori espressioni del pensiero illuminista è l’opera “Lo spirito delle leggi” (1748) di Montesquieu (1689-1755). Nella suo opera Montesquieu esprime la propria convinzione riguardo la necessità di, mantenere separati i tre poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario: coloro che detengono uno dei poteri non possono, contemporaneamente, detenerne anche un altro. Ad esempio un giudice (potere giudiziario) non può, nello stesso tempo, essere uomo di governo (potere esecutivo). Il principio della separazione dei poteri diverrà uno dei fondamenti di tutte le costituzioni liberali e democratiche.
2.2 La Rivoluzione
Cause che condussero al movimento rivoluzionario
Innumerevoli sono le cause che hanno portato alla rivoluzione francese:
Cause economiche e finanziarie
Le difficoltà finanziarie si possono far risalire già al regno di Luigi XIV e alla sua politica di spese ed esenzioni fiscali a vantaggio degli aristocratici, attraverso la quale il sovrano sperava di mitigare il loro costante e pericoloso spirito di indipendenza. Durante il successivo regno di Luigi XV si aggravano le condizioni di un bilancio che nel 1774 presenta il deficit davvero esorbitante per l’epoca di 50 milioni di franchi, anche a causa dell’impegno militare nella guerra dei Sette anni. Solo apparentemente l’ascesa al trono di Luigi XVI nel 1774 rappresenta un’opportunità per evitare la prevedibile catastrofe finanziaria.
L’opposizione dei ceti privilegiati non consente la realizzazione di un piano ispirato a principi di maggiore giustizia sociale nel quale si prevedeva, ad esempio, un’imposta unica anche sulle grandi proprietà possedute dall’aristocrazia e dal clero. Negli anni ’80 la Francia conosce una forte crisi della sua struttura produttiva, sia agricola sia manifatturiera, con gravi ripercussioni sociali tra carestie e disoccupazione. Le condizioni del privilegio per pochi lungi dall’essere utili alla nazione non possono che indebolirla e nuocerle. Viene così rivelandosi, dietro la questione finanziaria, una questione politica e istituzionale più radicale che mette in discussione la struttura per ceti della società francese, nel tentativo di aprirsi - come già ha chiesto la cultura politica dell’illuminismo - a forme di rappresentanza fondata sui soggetti individuali e sulla nozione di contratto sociale. Contro ogni ipotesi di modificare la fisionomia tradizionale delle istituzioni, la reazione degli ordini privilegiati è perentoria.
Cause politiche
Sono principalmente legate all’assolutismo monarchico il quale, invece di comprendere la spinta illuministica e cercare di assecondarla con delle riforme (come avvenne nelle contemporanee monarchie di Prussia, Austria e Russia) si mostrò insensibile a tutte le richieste riformistiche. La Francia della rivoluzione è un paese che vive una grave crisi politico-istituzionale dovuta, innanzitutto, all’incapacità dei tre monarchi (Luigi XIV, Luigi XV e Luigi XVI) che si sono succeduti negli anni antecedenti la rivoluzione. In particolare bisogna ricordare che:
Cause sociali
L’organizzazione sociale esistente in Francia prima della rivoluzione può a ragione essere definita come “organizzazione dell’ingiustizia”. I cittadini francesi sono divisi in tre distinti ceti:
La nobiltà e il clero costituiscono i ceti privilegiati, essi pur essendo molto ricchi sono esentati dal pagare le imposte. Il Terzo stato (che comprende il 98% della popolazione francese) raccoglie tutti gli altri cittadini dal più ricco mercante al più povero contadino, solo su questi cittadini grava l’imposizione fiscale. L’accesso ai ceti privilegiati non è consentito agli appartenenti al Terzo stato. Il Terzo stato oltre a sostenere l’intera imposizione fiscale rimane del tutto escluso dal governo del Paese.
Le fasi iniziali della rivoluzione (1789-1790)
Dagli Stati generali all’assemblea nazionale costituente
Nella sua prima fase la rivoluzione francese fu una rivoluzione borghese. Nel maggio del 1789 la necessità di denaro aveva raggiunto dimensioni tali da rendere necessaria la tassazione dei ceti dei nobili e del clero. Per affrontare la questione vengono convocati a Versailles gli Stati generali ossia l’assemblea nazionale dei rappresentanti dei tre ceti (nobiltà, clero, Terzo stato). L’intenzione dei ceti privilegiati era di servirsi dell’assemblea per ridimensionare il potere del sovrano, mentre l’intenzione dei rappresentanti del Terzo stato era di costringere nobiltà e clero a pagare le tasse eliminando situazioni di privilegio. Come abbiamo detto sopra Il Terzo stato rappresentava la stragrande maggioranza dei francesi, eppure non era in grado di far valere il proprio peso a causa del sistema di voto adottato nell’assemblea (ciascun ordine-ceto poteva esprimere un solo voto, in tal modo i nobili e il clero avevano un peso doppio rispetto al Terzo stato); si ebbe per tal motivo il 17 giugno una rivolta dei rappresentanti del Terzo stato i quali si autoproclamarono Assemblea nazionale e giurarono di non sciogliersi prima di aver dato una costituzione alla propria patria. Il re non poté che prenderne atto trasformando l’assemblea degli Stati generali in una Assemblea nazionale costituente (9 luglio).
Presa della Bastiglia e altri moti rivoluzionari
La situazione nel frattempo precipita a Parigi e nelle campagne.
A Parigi il 14 luglio 1789 un corteo di cittadini assalta ed espugna la Bastiglia (prigione-fortezza posta nella zona orientale della città).
Durante la seconda metà di luglio del 1789 nelle campagne i contadini, nel corso di innumerevoli rivolte, devastano i castelli bruciando gli archivi in cui è raccolta la documentazione che legittima privilegi feudali. Il 4 agosto 1789, spinta da tali avvenimenti, l’Assemblea nazionale decide l’abolizione del regime feudale e sopprime tutti i privilegi giuridici e fiscali della nobiltà.
Dichiarazione dei diritti dell’uomo
Il 26 agosto 1789 si approva la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che rivendica i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza tra tutti i cittadini.
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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
Versione del 91 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 Versione del 93 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35
L’Assemblea costituente elaborò la costituzione del 1791, che aveva come preambolo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il cui testo era stato già votato nell’agosto del 1789. La costituzione fu espressione della maggioranza borghese moderata favorevole alla divisione dei poteri, alla assoluta garanzia della proprietà, al suffragio indiretto e ristretto su rigida base censitaria.
I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino: Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa. Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge. Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina. Art. 6. La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti. Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole. Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata. Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla legge. Art.10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge. Art.11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge. Art.12. La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata. Art.13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. Art.14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata. Art.15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione. Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione. Art.17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.
La costituzione del 1793 (o dell’anno I° della Repubblica) segna il punto più avanzato della democrazia rivoluzionaria: prevede il rafforzamento del potere legislativo, il suffragio universale diretto, l’istituzione del referendum popolare. La costituzione non entrò mai in vigore, ma può essere molto utile confrontare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino modificata nel 1793, con quella redatta nel 1791. Il popolo francese, convinto che l’oblio e il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo sono le sole cause delle sventure del mondo, ha deciso di esporre in una dichiarazione solenne questi diritti sacri ed inalienabili, affinché tutti i cittadini potendo paragonare incessantemente gli atti del governo con il fine di ogni istituzione sociale, non si lascino opprimere ed avvilire dalla tirannia, affinché il popolo abbia sempre davanti agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità, il magistrato la regola dei suoi doveri; il legislatore l’oggetto della sua missione. Di conseguenza, esso proclama, al cospetto dell’essere Supremo, la seguente dichiarazione dei diritti dell’uomo e de cittadino. Art. 1. Lo scopo della società è la felicità comune. Il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili. Art. 2. Questi diritti sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà. Art. 3. Tutti gli uomini sono uguali per natura e davanti alla legge. Art. 4. La legge è l’espressione libera e solenne della volontà generale; essa è la stessa per tutti, sia che protegga sia che punisca; può ordinare solo ciò che è giusto e utile alla società; non può vietare se non ciò che le è nocivo. Art. 5. Tutti i cittadini sono ugualmente ammissibili agli impieghi pubblici. I popoli liberi non conoscono altri motivi di preferenza nelle loro elezioni, che le virtù e le capacità. Art. 6. La libertà è il potere che permette all’uomo di compiere tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri; essa ha per principio la natura, per regola la giustizia, per salvaguardia la legge; il suo limite morale è in questa massima: " Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te ". Art. 7. Il diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni, sia con la stampa sia in tutt’altra maniera, il diritto di riunirsi in assemblea pacificamente, il libero esercizio dei culti, non possono essere interdetti. La necessità di enunciare questi diritti presuppone o la presenza o il ricordo recente del despotismo. Art. 8. La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società ad ognuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e delle sue proprietà. Art. 9. La legge deve proteggere la libertà pubblica e individuale contro l’oppressione di quelli che governano. Art.10. Nessuno deve essere accusato, arrestato né detenuto, se non nei casi determinati dalla legge e secondo le forme da essa prescritte. Ogni cittadino citato o arrestato dalla autorità della legge deve ubbidire sull’istante; egli si rende colpevole con la resistenza. Art 11. Ogni atto esercitato contro un uomo fuori dai casi e senza le forme che la legge determina è arbitrario e tirannico; colui contro il quale lo si volesse eseguire con la violenza, ha il diritto di respingerlo con la forza. Art.12. Coloro che procurano, spediscono, firmano, eseguiscono o fanno eseguire degli atti arbitrari, sono colpevoli, e devono essere puniti. Art.13. Ogni uomo essendo presunto innocente fino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si giudica indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non fosse necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla legge. Art.14. Nessuno deve essere giudicato e punito se non dopo essere stato ascoltato o legalmente citato, e in virtù di una regge promulgata anteriormente al delitto. La legge che punisse dei delitti commessi prima che essa esistesse, sarebbe una tirannia; l’effetto retroattivo dato alla legge sarebbe un crimine. Art.15. La legge deve decretare solo pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere proporzionate al delitto, e utili alla società. Art.16. Il diritto di proprietà è quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua operosità. Art.17. Nessun genere di lavoro di cultura , di commercio , può essere interdetto all ‘ operosità dei cittadini. Art.18. Ogni uomo può impegnare i suoi servizi , il suo tempo ; ma non può vendersi né essere venduto ; la sua persona non è una proprietà alienabile . La legge non riconosce domesticità ; può esistere solo un vincolo di cure e di riconoscenza tra l ‘uomo che lavora e quello che lo impiega . Art.19. Nessuno può essere privato della benché minima parte della sua proprietà , senza il suo consenso , tranne quando la necessità pubblica legalmente constatata lo esige , e sotto la condizione di una giusta e preventiva indennità . Art.20. Nessun contributo può essere stabilito se non per l ‘utilità generale . Tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere alla determinazione dei contributi , di sorvegliarne l ‘ impiego , e di esigerne il rendiconto . Art.21. I soccorsi pubblici sono un debito sacro . La società deve la sussistenza ai cittadini disgraziati , sia procurando loro del lavoro , sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in età tale da poter lavorare . Art.22. L ‘ istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere , i progressi della ragione pubblica , e mettere l ‘ istruzione alla portata di tutti i cittadini . Art.23. La garanzia sociale consiste nell‘azione di tutti per assicurare a ognuno il godimento e la conservazione dei suoi diritti ; questa garanzia riposa sulla sovranità nazionale. Art.24. Essa non può esistere, se i limiti delle funzioni pubbliche non sono chiaramente determinati dalla legge, e se la responsabilità di tutti i funzionari non è assicurata. Art.25. La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile. Art.26. Nessuna parte di popolo può esercitare il potere del popolo intero; ma ogni sezione del sovrano riunito in assemblea deve godere del diritto di esprimere la sua volontà con una completa libertà. Art.27. Ogni individuo che usurpa la sovranità, sia all’istante messo a morte dagli uomini liberi. Art.28. Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e cambiare la propria Costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi generazioni future. Art.29. Ogni cittadino ha un eguale diritto di concorrere alla formazione della legge e alla nomina dei suoi mandatari o dei suoi agenti. Art.30. Le funzioni pubbliche sono essenzialmente temporanee; esse non possono essere considerate come distinzioni né come ricompense, ma come doveri. Art.31. I delitti dei mandatari del popolo e dei suoi agenti non devono essere mai impuniti. Nessuno ha il diritto di considerarsi più inviolabile degli altri cittadini. Art.32. Il diritto di presentare quelle petizioni ai depositari dell’autorità pubblica non può, in nessun caso, essere interdetto, sospeso né limitato. Art.33. La resistenza all’oppressione è la conseguenza dagli altri diritti dell’uomo. Art.34. Vi è oppressione contro il corpo sociale quando uno solo dei suoi membri è oppresso. Vi è oppressione contro ogni membro quando il corpo sociale è oppresso. Art.35. Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.
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Requisizione dei beni ecclesiastici e costituzione civile del clero
Nel novembre del 1789 si cerca di porre rimedio alle dissestate finanze con la requisizione delle proprietà e dei beni ecclesiastici (proprietà terriere ed edifici urbani e rurali) che diventano beni nazionali. I beni requisiti vengono quindi rivenduti ai contadini in campagna e alla borghesia urbana in città.
Il 12 luglio 1790 viene votata la Costituzione civile del clero con la quale lo Stato, in cambio dei beni incamerati, si assumeva le spese del sostentamento del clero, imponendo nello stesso tempo un nuovo ordinamento alla Chiesa di Francia (cercando di staccarla, in tal modo, dalla chiesa di Roma). La Costituzione civile del clero non viene accettata dalla maggioranza dei sacerdoti, i quali rifiutano di giurare fedeltà allo Stato francese.
Gli sviluppi della rivoluzione (1791-1792)
Tentativo di fuga del re e nascita della monarchia costituzionale
Il giuramento di fedeltà alla Costituzione prestato da Luigi XVI durante la festa della Federazione il 14 luglio 1790 pare suggellare la fine della Rivoluzione (si scoprirà in seguito che la corte mantiene i contatti con l’aristocrazia emigrata nella speranza di un intervento delle potenze europee in suo favore e contro la rivoluzione).
In realtà l’opposizione del pontefice e il rifiuto di larga parte del clero al giuramento voluto dalla Costituzione civile del clero accrescono nel sovrano scrupoli religiosi e desiderio di porre fine al sistema sorto dalla Rivoluzione. La crisi sociale ed economica dovuta all’inflazione esaspera, inoltre, la precarietà di un’autorità il cui principio è ormai visibilmente sospeso tra vecchio e nuovo. In questo clima, nonostante i consigli alla prudenza che vengono da chi vede nella monarchia costituzionale il felice esito della Rivoluzione, matura la decisione di Luigi XVI di fuggire all’estero. Compiuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791 il tentativo è bloccato a Varennes, non lontano dalla frontiera orientale.
"Vecchi, donne e bambini, gli uni armati di spiedi, di falci, gli altri di bastoni, di sciabole, di cattivi fucili" assistono ostili al ritorno nella capitale di un re che ha perso la fiducia del suo popolo. Nel frattempo il 27 agosto 1791, a Pillnitz, Leopoldo II e Federico Guglielmo II, re di Prussia, avevano emanato una dichiarazione congiunta contenente minacce di intervento armato contro la rivoluzione, avvalorando così i sospetti di complici relazioni tra la corte e lo straniero. A poco vale, quindi, il giuramento di Luigi XVI alla nuova Costituzione (13 settembre 1791) che disegna i contorni di una Monarchia costituzionale (il re non è più il “re di Francia per grazia di Dio”, ma il “re dei Francesi, delegato dalla nazione”) con base elettorale fortemente censitaria e rigida divisione tra i poteri. Dopo Varennes e dopo Pillnitz comincia a farsi strada l’idea di repubblica, circoscritta fino ad allora a pochi intellettuali.
L’Assemblea legislativa
L'Assemblea legislativa, riunitasi il 1 ottobre 1791, era composta da 745 nuovi membri (poiché i costituenti si erano dichiarati ineleggibili alla legislatura successiva) ed era divisa in fazioni le cui idee politiche erano ampiamente divergenti:
Prima che queste differenze provocassero una grave frattura interna, i repubblicani riuscirono a far approvare alcune leggi importanti e severe misure contro gli ecclesiastici che rifiutavano il giuramento di fedeltà.
Il veto del re a tali proposte creò una crisi che portò al potere i girondini, i quali, nonostante l'opposizione dei montagnardi, adottarono un atteggiamento ostile verso Federico Guglielmo II e Francesco II d'Asburgo (succeduto al padre sul trono imperiale il 1° marzo 1792), principali protettori dei réfugiés e sostenitori della ribellione dei signori feudali alsaziani contro il governo rivoluzionario. La volontà di guerra si diffuse rapidamente sia tra i monarchici, che speravano di restaurare l'Ancien Régime, sia tra i girondini, che volevano un trionfo decisivo sulle forze reazionarie nazionali ed estere. Il 20 aprile 1792 l'Assemblea legislativa dichiarò guerra all'Austria.
Gli esiti negativi nelle prime fasi del conflitto, l’arresto del re, nascita della Prima Repubblica
A causa degli errori commessi dagli alti comandi francesi, perlopiù monarchici, l'Austria riportò numerose vittorie nei Paesi Bassi austriaci. La conseguente invasione della Francia fece cadere il ministro girondino Roland il 13 giugno 1792 e nella capitale scoppiarono disordini culminati nell'attacco alle Tuileries, la residenza reale. L'11 luglio Sardegna e Prussia entrarono in guerra contro la Francia e scattò l'emergenza nazionale; furono inviati rinforzi agli eserciti e a Parigi si raccolsero volontari da tutto il paese, tra cui il contingente di Marsiglia che arrivò cantando la Marseillaise. Lo scontento popolare nei confronti dei girondini, raccoltisi intorno al monarca, aumentò la tensione, che degenerò in insurrezione aperta quando il duca di Brunswick minacciò di distruggere la capitale in caso di attentati contro la famiglia reale. Gli insorti assaltarono le Tuileries, massacrando le guardie del re, che si rifugiò nella sala dell'Assemblea legislativa; il re viene sospeso e imprigionato, il governo parigino deposto e sostituito da un consiglio esecutivo provvisorio dominato dai montagnardi di Georges Danton, che ben presto assunsero il controllo dell'Assemblea legislativa e indissero elezioni a suffragio universale maschile per una nuova Convenzione costituente.
Tra il 2 e il 7 settembre oltre 1000 sospetti traditori furono processati sommariamente e giustiziati nei cosiddetti "massacri di settembre", dettati dalla paura di presunti complotti per rovesciare il governo rivoluzionario. Il 20 settembre 1792 l'avanzata prussiana fu bloccata a Walmy. Il giorno seguente si riunì la nuova Convenzione nazionale, che proclamerà l'abolizione della monarchia e la nascita della Prima Repubblica.
La Convenzione e la condanna a morte di Luigi XVI
La Convenzione era composta in gran parte da elementi repubblicani e rivoluzionari:
I primi atti della nuova assemblea furono:
La morte del re porta ad una violenta ripresa dei conflitti esterni ed interni.
L’indignazione provocata dalla uccisione del re fa si che in Europa si formi una prima coalizione anti francese formata da Austria, Prussia, Olanda, Inghilterra, Spagna, Piemonte, Stato pontificio, Regno di Napoli. I primi scontri sono sfavorevoli alla Francia repubblicana.
La situazione d’emergenza porta la Convenzione a prendere delle decisioni estreme:
I Girondini, animati da uno spirito moderato, cercarono di opporsi a questi provvedimenti ma la folla di Parigi istigata da Marat circonda minacciosa il palazzo della Convenzione. La Convenzione, ormai sotto il dominio dei Giacobini, elabora una nuova Costituzione conosciuta con il nome di Costituzione dell’anno I (1793), in essa viene sancito il principio del suffragio universale. Poiché il comitato di salute pubblica guidato da Danton si mostra troppo conciliante con i Girondini, viene sostituito da un secondo comitato di salute pubblica presieduto da Robespierre, è l’inizio dell’epoca del terrore.
Gli anni del terrore (1793-1794)
Robespierre rappresentò per quasi un anno un dittatore spietato ed inesorabile che non esitò nel mandare alla ghigliottina quanti mostravano opinioni diverse dalle sue, fossero pure appartenenti alla stessa fazione politica ( i giacobini Danton ed Hérber, ad esempio); o quanti potevano mostrare ancora legami con l’antico regime (la regina Maria Antonietta, il chimico Lavoisier, il poeta Andrea Chénier). Migliaia di persone furono ghigliottinate, alcune solo perché sospettate di tradimento nei confronti della repubblica.
Pur alle condizioni viste sopra, la dittatura di Robespierre riuscì a salvare la Francia dalle rivolte interne e dalle invasioni straniere.
La reazione della Convenzione a Robespierre e la Costituzione dell’anno III (1794-1795)
La vittoria sui nemici interni ed esterni non giustificava più il clima di terrore creato da Robespierre. Per tale motivo il 27 luglio 1794 i partiti della Convenzione si coalizzarono contro il dittatore e dopo averlo arrestato lo fecero giustiziare.
La Convenzione promulgò quindi una nuova Costituzione conosciuta con il nome di Costituzione dell’anno III (1975) o Costituzione termidoriana (il 9 termidoro, 27 luglio è il giorno in cui inizia la rivolta alla tirannia di Robespierre). I punti più importanti della Costituzione dell’anno III sono i seguenti:
Come si può osservare la Costituzione dell’anno III rappresentò la risoluzione borghese del movimento rivoluzionario di Francia.
2.3 Dalla fine della Convenzione all’ascesa di Napoleone Bonaparte
Il 26 ottobre 1795 cessarono i poteri della Convenzione, sostituita il 2 novembre dal governo previsto nella nuova costituzione.
Nonostante il contributo di abili statisti quali Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord e Joseph Fouché, il Direttorio dovette fronteggiare subito numerose difficoltà:
I raggruppamenti politici borghesi, decisi a conservare il potere conquistato, presto scoprirono i vantaggi derivanti dal dirottare le energie della massa in canali militari, in particolare nel seguire l’astro nascente di Napoleone.
2.4 Quali cambiamenti ha portato la rivoluzione
Il risultato immediato della rivoluzione fu l'abolizione della monarchia assoluta e dei privilegi feudali. Si eliminarono la servitù, i tributi e le decime; i grandi possedimenti vennero frazionati e si introdusse un principio equo di tassazione; con la redistribuzione delle ricchezze e dei terreni, la Francia divenne il paese europeo con il maggior numero di piccoli proprietari terrieri indipendenti. A livello sociale ed economico, si abolirono l'incarceramento per debiti e il diritto di primogenitura nell'eredità terriera, e fu introdotto il sistema metrico decimale.
Napoleone portò a compimento alcune riforme avviate durante la rivoluzione:
La riforma delle leggi provinciali e locali che fu accolta nel Codice napoleonico, rispecchiava molti principi introdotti dalla rivoluzione:
In tema di religione i principi di libertà di culto e di stampa, enunciati nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, portarono a una maggiore libertà di coscienza e al godimento dei diritti civili per protestanti ed ebrei. Furono gettate le basi per la separazione tra stato e Chiesa.
Gli esiti teorici della rivoluzione si ritrovano nelle parole "liberté, égalité, fraternité", che diventarono il vessillo per le riforme liberali in Francia e in Europa nel XIX secolo; tuttora sono parole-chiave della democrazia.
APPROFONDIMENTO ........! |
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821) Quadro riassuntivo degli avvenimenti più importanti della vita 1769 Nasce ad Ajaccio in Corsica (diventata francese solo da pochi anni) 1778-’84 Studia all’Accademia militare 1796-’97 Prima campagna d’Italia (contro gli austriaci) 1798-’99 Campagna d’Egitto (contro gli inglesi) 1799 Colpo di Stato (assume il potere e la carica di Console) 1802 Assume l’incarico di Console a vita 1804 Si fa incoronare imperatore di Francia dal papa Pio VII 1808-’09 Occupazione militare della Spagna 1812-’13 Disastrosa campagna di Russia 1813 Sconfitta di Lipsia 1813-’15 Esilio all’isola d’Elba 1815 Ritorno al potere per 100 giorni 1815 Sconfitta definitiva a Waterloo 1815-’21 Esilio nell’isola di Sant’Elena (piccola isola nel mezzo dell’oceano Atlantico) 1821 Muore nell’isola di Sant’Elena
Napoleone e la Rivoluzione francese Napoleone è un prodotto della Rivoluzione francese. Senza la Rivoluzione, l’uomo che in pochi anni stravolse l’assetto politico-dinastico di mezza Europa non sarebbe stato messo nelle condizioni d’agire. Ciò non vuole certo sminuire le doti personali di un uomo dal talento eccezionale, forse unico. Possiamo dire che grazie alla Rivoluzione un borghese dal talento eccezionale (Napoleone) poté esprimere pienamente il suo genio
L’esercito di Napoleone Non bisogna dimenticare mai che il successo militare di Napoleone è il successo del suo esercito: l’esercito francese. Se vogliamo comprendere il successo di Napoleone non possiamo dimenticare che le battaglie non si combattono solo tra generali, ma si combattono soprattutto tra soldati, sono battaglie tra eserciti. Ebbene l’esercito francese aveva in quegli anni veramente qualcosa di speciale. Prima della rivoluzione l’esercito francese non si distingueva in nulla rispetto a quello prussiano o austriaco, con la rivoluzione abbiamo una radicale trasformazione dello stesso: i quadri di comando, innanzitutto, che non saranno più assegnati in base al titolo nobiliare posseduto, ma verranno dati a rappresentanti borghesi che vedono nella carriera militare una possibile forma di gratificazione sociale ed economica. Solo i più bravi hanno la possibilità di far carriera in questo esercito e ciò sarà determinante nel decidere le sorti delle battaglie. Anche i soldati semplici combattono nell’esercito napoleonico con uno spirito diverso rispetto ai soldati degli altri eserciti. Innanzitutto per lo stretto legame che si viene a creare tra il Generale (Napoleone) e i suoi uomini. Napoleone combatte spesso in prima linea e ha un gran rispetto per la vita dei soldati, cerca di limitare al massimo le perdite in vite umane dei suoi, e ricompensa abbondantemente quando si tratta di spartirsi il bottino di guerra[1]. Del particolare rapporto esistente tra Napoleone e i suoi soldati si ha testimonianza nel 1815 (durante i famosi 100 giorni di ritorno al potere), quando i soldati mandati per arrestare il loro ex imperatore fuggito dall’isola d’Elba si uniscono a lui invece di arrestarlo. Napoleone e il suo esercito vittorioso diventano per la Francia una forma di riscatto nei confronti delle potenze europee che avevano cercato di sopprimere il moto rivoluzionario. Puntare tutto sull’esercito e sulle sue conquiste, questo è ciò che faranno i francesi per uscire dalle difficoltà in cui li aveva condotti la rivoluzione, Napoleone rappresentava il capo ideale per questo esercito.
La Francia di Napoleone Nella Francia del 1799 si vive un clima di notevole difficoltà. Il Direttorio al potere da alcuni anni non era riuscito a migliora significativamente la situazione economico-finanziaria e quella dell’ordine pubblico. E’ in questo contesto che il colpo di stato di Napoleone ottiene il risultato sperato. La stanchezza per la situazione di disordine da parte della popolazione e l’insoddisfazione da parte della classe borghese per le difficoltà economico-finanziarie fa sì che venga visto con favore un uomo “forte” in grado di riportare sicurezza, ordine, prosperità economica, non rilevante, almeno per ora, è il fatto che quest’uomo intenda assumere a vita la guida della Francia e che operi per rendere ereditaria tale carica. A questa Francia Napoleone offre ciò che chiedeva. ossia:
in cambio impone la sua dittatura personale e limita pesantemente tutte le forme di dissidenza e libero pensiero che avevano caratterizzato gli anni della rivoluzione (basti pensare che Parigi nel periodo di Napoleone al potere si ridusse ad avere solo 4 giornali, tutti filogovernativi, contro i 335 del periodo rivoluzionario).
Il codice civile o codice napoleonico Di particolare importanza fu l’emanazione del Codice Civile nel 1804. Con questo, infatti, per la prima volta si aveva un unico punto di riferimento legislativo che andava a sostituire l’insieme caotico di leggi, regolamenti, consuetudini locali ereditato dalla società feudale. Con il Codice napoleonico si aveva per la prima volta uniformità e certezza nel diritto civile. Nel codice ritroviamo alcune delle più importanti conquiste della rivoluzione: abolizione dei privilegi feudali, uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, libertà religiosa e diritto all’istruzione laica. Il codice civile napoleonico fu molto importante anche per l’Italia, nel nostro paese dopo aver subito l’applicazione del codice quale conseguenza dell’occupazione francese, si scelse di seguire questo sistema legislativo considerato particolarmente efficiente ed efficace, decisamente preferibile all’insieme informe di leggi e leggine aventi varia origine (tra le norme del codice civile napoleonico che hanno modificato le usanze nel nostro paese ricordo l’obbligo, dettato da norme igieniche, di seppellire i defunti fuori dei centri abitati, per questo i cimiteri sono dislocati fuori dal centro).
L’Europa di Napoleone Grazie alle numerose campagne di conquista e grazie alle alleanze, la Francia di Napoleone arrivò a governare direttamente o indirettamente su gran parte d’Europa. Solo l’Inghilterra rimase a combattere fieramente, anche grazie al blocco commerciale, le mire espansionistiche dell’imperatore francese. Lo stesso Napoleone finì, tuttavia, vittima della propria inesauribile ansia di conquista, la sua decisione di invadere anche la Russia nel 1812 gli costerà moltissimo. La fallimentare campagna di Russia ebbe conseguenze disastrose per la Francia e più ancora per Napoleone, è da qui che inizia la sua inesorabile fase di declino. Nella cartina possiamo osservare l’Europa nel 1812. I territori più scuri costituiscono l’impero francese, le parti grigio scuro rappresentano i territori assegnati a persone direttamente legate alla Francia. Grazie a Napoleone le idee della Rivoluzione francese si diffusero in tutta Europa, sarà questo il sostrato dal quale nasceranno i successivi moti insurrezionali Dal 1814 al 1815 i principali esponenti delle diplomazie europee lavorarono a Vienna per “Restaurare” l’ordine europeo precedente le conquiste di Napoleone. Da un punto di vista formale la cosa non fu difficile: ai vari regnati vennero riassegnati i territori così come spettava loro per diritto dinastico e vennero ristabiliti i confini prerivoluzionari. Insomma ogni cosa sembrava essere ritornata com’era prima della rivoluzione e prima delle campagne di Napoleone. Ciò che a Vienna non si era considerato con sufficiente attenzione era che Napoleone, con le sue campagne in tutta Europa, aveva diffuso tra le varie popolazioni europee lo spirito che aveva animato la rivoluzione francese. Assaporato il gusto della libertà i vari popoli difficilmente avrebbero accettato per lungo tempo l’oppressione di monarchie assolute e la tirannia di popoli sui altri popoli. Quanto fosse diversa nella sostanza la realtà europea dopo il congresso di Vienna è dimostrato dal fatto che già nel 1820 inizieranno moti insurrezionali di rivolta in vari paesi d’Europa: tra questi Grecia, Spagna, Piemonte, Regno delle due Sicilie, Russia. L’Europa grazie alla rivoluzione francese e a Napoleone è profondamente cambiata, a nulla varranno i vari tentativi operati nel reprimere le diverse insurrezioni che nascono spontaneamente, queste si riproporranno sempre più radicali e condivise, è da queste insurrezioni che nascerà l’Europa contemporanea.
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3. Prima rivoluzione industriale (origini della moderna civiltà industriale)
3.1 Introduzione
Nella seconda metà del XVIII secolo, inizia in Inghilterra un rapido processo di trasformazione nel sistema di produzione, da artigianale diventa industriale. Il successo ottenuto da tale nuovo sistema sarà tale che da allora diverrà il modello produttivo dominante. La trasformazione del sistema produttivo, avvenuta radicalmente e in breve tempo (da qui l’uso del termine ”rivoluzione”), avrà delle conseguenze allora inimmaginabili: sul paesaggio, sul rapporto tra gli uomini, sul loro pensiero, nella vita di ogni giorno. E’ la nascita della CIVILTA’ INDUSTRIALE, la “nostra” civiltà
3.2 Produzione artigianale e produzione industriale
Sistema di produzione artigianale
Fino alla metà del Settecento il sistema di produzione era totalmente artigianale, ciò significa che i vari prodotti venivano realizzati in strutture tipo officine, diffuse in modo capillare sul territorio e gestiti a livello familiare, solo in pochissimi casi le officine erano di dimensioni tali da occupare più di dieci persone.
Sistema di produzione industriale
Se il sistema di produzione artigianale si caratterizza per la capillarità della distribuzione sul territorio e per le ridotte dimensioni della struttura produttiva, all’opposto la produzione industriale si caratterizza per il suo concentrarsi in particolari zone, molto spesso vicine alle città, e per le notevoli dimensioni della struttura produttiva. Se nelle officine artigianali in rari casi si superano i dieci lavoratori impiegati, nelle fabbriche i lavoratori di norma superano il centinaio (in alcuni casi il migliaio). Zone industriali, grandi fabbriche, centinaia di persone al lavoro nella stessa fabbrica, sono questi gli elementi che caratterizzano il sistema di produzione industriale.
Le condizioni del mutamento
Proprio a partire dalla metà del XVIII secolo, in diversi paesi d’Europa (a partire dall’Inghilterra), si verificarono delle condizioni particolari che porteranno al mutamento nel sistema di produzione. Diversi sono gli elementi che concorsero a questo mutamento, i più rilevanti sono:
a. Aumento nella complessità delle macchine
La rivoluzione scientifica, sviluppatasi nel Seicento, ebbe delle importanti conseguenze non solo nello studio della natura e dell’uomo, ma anche nello sviluppo tecnologico. Gli scienziati riconobbero la fondamentale importanza dello strumento per l’osservazione della natura (cannocchiale e microscopio) e per la sperimentazione. Si potenzia, in tal mondo, l’abilità artigianale nel costruire strumenti sempre più elaborati.
La produzione di macchine sempre più complesse non si limitò naturalmente solo alla sperimentazione scientifica, nei vari settori si riconobbe l’utilità delle macchine per velocizzare il lavoro e per ridurre la fatica dell’uomo. La produzione artigianale non poteva essere esclusa da tali mutamenti, anzi è proprio in questo settore che ci si concentra per costruire macchine adatte (il settore tessile sarà tra i primi ad introdurre nel suo sistema produttivo le nuove macchine).
Ebbene questo aumento nella complessità delle macchine, ebbe delle ripercussioni sul costo delle stesse, limitando a pochi la possibilità di acquisto e di ammortizzazione della spesa, L’acquisto di macchine complesse richiedeva l’investimento di consistenti capitali, pochi potevano affrontare questi grossi investimenti.
b. Utilizzo di una nuova straordinaria forma di forza-lavoro: il vapore
Con l’inizio del Settecento si scopre l’enorme potenzialità del vapore quale forza da utilizzare nel lavoro. Fino ad allora non erano molte le forze lavoro disponibili, si utilizzava la forza dell’animale (e dell’uomo) e la forza degli elementi naturali: vento ed acqua. La disponibilità di una forza lavoro che si poteva produrre in qualsiasi luogo, e secondo le proprie necessità ebbe un peso determinante nello sviluppo dell’industrializzazione.
Nel percorso che portò all’utilizzo del vapore quale forza motrice nell’industria un posto di primo piano spetta a James Watt, fu questi, infatti, per primo a combinare l’energia del vapore con la ruota. Nel 1769 Watt depositò il brevetto di un nuovo sistema in grado di trasformare il moto rettilineo alternativo, legato al vapore, nel moto rotatorio continuo di un volano (con un sistema biella-manovella). Ben presto il vapore venne utilizzato per la produzione nelle fabbriche e come forza di locomozione per treni e battelli. Divenne il “cuore pulsante” del nuovo sistema di produzione e di comunicazione, probabilmente la rivoluzione industriale non ci sarebbe stata senza la scoperta di questa “nuova” forza–lavoro.
c. Notevoli disponibilità di capitali da investire
La complessità delle macchine, assieme all’utilizzo del vapore quale forza lavoro per far muovere le macchine, resero sempre più costoso approntare un sistema di produzione. Solo la disponibilità di discreti capitali poteva consentire l’avvio di una attività che richiedeva luoghi idonei e macchinari costosi. Ebbene nei paesi europei di quegli anni vi erano diverse persone in possesso di capitali[2] da investire. L’aumento poi, in breve tempo, del capitale investito rendeva disponibile altro capitale per ampliare l’iniziale sistema produttivo o per aprire nuove attività industriali.
d. Disponibilità di manodopera a basso prezzo
L’Europa di fine Settecento, inizio Ottocento, vive un periodo di discreto aumento demografico, ciò rese disponibile una notevole quantità di persone, in particolare nelle campagne, disposta a lavorare per un salario molto basso, spesso il minimo per la sopravvivenza.
3.3 Origine della rivoluzione industriale in Inghilterra
Varie sono le motivazioni che spiegano la nascita della rivoluzione industriale in Inghilterra, vediamone alcune:
a. Disponibilità di capitali
L’Inghilterra di fine Settecento è probabilmente il paese più ricco del mondo. La ricchezza del Paese è legata all’efficiente sistema di scambi commerciali internazionali in mano a privati, ciò si deve anche all’intelligenza della monarchia inglese che aveva ben compreso come fosse molto più conveniente lasciare all’iniziativa privata l’organizzazione degli scambi, tassando i guadagni, piuttosto che impegnarsi direttamente nelle varie imprese commerciali.
Abbiamo così che nel Paese esistono dei capitali di notevoli dimensioni da investire, la nascente industria offre la possibilità di investimento di tali capitali con la prospettiva di notevoli guadagni in breve tempo, come avverrà.
b. Trasformazione dell’agricoltura
Nel corso del Settecento il sistema di produzione agricolo inglese subisce una profonda trasformazione. La disponibilità di capitali porta al formarsi di grandi proprietà terriere nelle quali il contadino vive come salariato. Vanno gradualmente sparendo le piccole proprietà e, cosa più importante, vanno sparendo quei territori di nessuno, le “terre comuni” sulle quali i contadini esercitavano il diritto di pascolo e raccolta, queste terre nel passato avevano offerto una possibilità di sopravvivenza ai più poveri. L’azione di privatizzazione, con la conseguente recinzione (“enclosures” in inglese) di tali terreni, aumentò le condizioni di miseria di molti creando una massa di persone che presto si sposterà verso la città alla ricerca di un lavoro, di un qualsiasi lavoro (il lavoro nelle fabbriche non richiede nessuna particolare abilità), accontentandosi del sufficiente per vivere.
c. Un efficiente sistema politico-istituzionale
Come abbiamo già in parte visto, il sistema politico istituzionale inglese si dimostrò uno dei migliori al mondo, sia per la capacità di valorizzare le iniziative private, sia nella sua capacità di accogliere il nuovo visto come possibilità e non come elemento destabilizzante. Nella vicina Francia la monarchia di Luigi XVI invece d’accogliere e valorizzare l’iniziativa privata vedeva in questa un’antagonista all’operare della Corona.
d. Grande disponibilità di carbone
Se pensiamo alla produzione del vapore pensiamo al carbone, è con il carbone, infatti, che si alimenta il fuoco in grado di trasformare l’acqua in vapore. Ed anche in questo l’Inghilterra è avvantaggiata, il Paese, infatti, è ricco di miniere di carbone.
e. Notevoli progressi in campo scientifico e tecnologico
L’Inghilterra è tra i paese europei nei quali la ricerca scientifica e tecnologica è all’avanguardia, inizialmente è la stessa Corona a finanziare la ricerca, comprendendo l’importanza della conoscenza, successivamente sarà la nascente industria a finanziare la ricerca scientifico-tecnologica a proprio vantaggio.
3.4 I più significativi mutamenti legati allo sviluppo della civiltà industriale
Quanto sia cambiata la nostra vita con l’industrializzazione è difficile immaginarlo, noi siamo un prodotto della civiltà industriale e quindi per noi la vita è questa, non conosciamo altri modi di vivere. Possiamo avere un’idea del mutamento, se pensiamo alle condizioni di vita vissute dalle popolazioni nelle quali non si è sviluppata ancora l’industria (possiamo pensare a certe popolazioni africane che vivono di allevamento e agricoltura). Diversi sono i mutamenti legati alla rivoluzione industriale, vediamo i più significativi:
a. Nel paesaggio
Con la rivoluzione industriale si ha un profondo mutamento nel paesaggio. Le fabbriche si concentrarono attorno alle città e le centinaia di migliaia di lavoratori impiegati fecero aumentare a dismisura le periferie con il nascere di quartieri “dormitorio”, si formarono in tal modo le città per come le conosciamo oggi.
b. Nel rapporto tra gli uomini (nascono nuove classi sociali)
L’abbandono delle campagne per la fabbrica offriva delle opportunità ma anche dei grossi rischi. Se da un lato, infatti, offriva la sicurezza di uno stipendio, dall’altro creava le condizioni per un possibile stato di indigenza totale, perdere il posto di lavoro nella fabbrica, anche per motivi di salute, significava la miseria più nera, molto peggio che in campagna. Gli appartenenti a questa nuova categoria di lavoratori vennero chiamati PROLETARI, a sottolineare come gli unici beni da questi posseduti fossero i figli, la prole appunto. In contrapposizione ai proletari si forma la classe dei proprietari delle industrie, quelli che Marx definirà CAPITALISTI.
Tra i proletari, che vivono assieme non solo nelle fabbriche ma anche fuori delle fabbriche (nei pub per esempio), nasce da subito un senso d’appartenenza ad un gruppo avente interessi comuni. Non dobbiamo stupirci perciò se già dai primi anni dell’Ottocento nascono le prime forme di rappresentanza operaia, quelle che negli anni successivi diverranno i SINDACATI.
c. Nell’emancipazione della donna
Nella civiltà contadina la donna non riesce a vivere la propria emancipazione per il semplice motivo che non è in grado di lavorare da sola il terreno, deve appoggiarsi alla forza dell’uomo e da qui la difficoltà nella emancipazione. Diverso è il lavoro nella fabbrica, qui la forza non è determinante, anzi per alcuni lavori sono preferite le donne. Dal lavoro in fabbrica la possibilità di un’indipendenza economica e quindi la possibilità dell’emancipazione. Per questo aspetto un momento di grande mutamento si ebbe durante la prima guerra mondiale quando furono le donne a sostenere, grazia al loro lavoro, la produzione industriale.
d. Movimenti migratori, dalla campagna alla città, da regione a regione, da Stato a Stato.
La produzione industriale con la sua alta capacità d’assorbire forza lavoro ha dato luogo, negli anni, ad importanti flussi migratori. I primi furono dalla campagna alla città, poveri contadini, in miseria, che vedevano nel lavoro in fabbrica la possibilità di sopravvivere. Quindi da regione a regione, alcune regioni di uno stesso Paese videro una maggiore industrializzazione e questo portò a dei flussi migratori da regione a regione di uno stesso Stato. Altro movimento migratorio si ebbe da Stato a Stato, non solo tra i paesi europei, notevole fu il flusso migratorio verso gli Stati Uniti.
e. Nella qualità della vita, aumenta la ricchezza media pro-capite
Il sistema di produzione artigianale non poteva produrre ricchezza se non in forma limitata, il sistema di produzione industriale, invece, riuscì negli anni a migliorare notevolmente la qualità della vita. Se è pur vero che nei primi decenni la retribuzione degli operai era bassissima e di conseguenza la loro vita era di totale miseria, ben presto si comprese come la stessa industria poteva svilupparsi maggiormente solo se anche gli stessi operai avessero potuto acquistare gli oggetti prodotti, ecco quindi che ben presto aumentarono le retribuzioni in modo tale da consentire anche ai lavoratori di poter acquistare i prodotti dell’industria e poter, in tal modo, incrementare loro stessi la produzione industriale.
f. Nelle possibilità di arricchimento dei singoli e degli Stati
Se la qualità di vita della maggioranza dei cittadini è migliorata considerevolmente con l’industrializzazione, una parte di cittadini è riuscita ad accumulare, con gli anni, delle vere e proprie fortune. Era sufficiente trovare il prodotto giusto per riuscire a guadagnare cifre considerevoli in poco tempo. Naturalmente la ricchezza dei cittadini divenne anche ricchezza degli Stati grazie alla tassazione. Lo Stato vide incrementare notevolmente le entrate e ciò gli consentì, tra l’altro, di offrire migliori servizi pubblici ai cittadini stessi.
g. Nello sviluppo della scienza
L’ultima riflessione riguarda l’enorme sviluppo che ebbe la scienza dell’Ottocento proprio grazie all’industrializzazione. La scienza, intesa come ricerca scientifica, ha bisogno per progredire di finanziamenti, ebbene nel corso dell’Ottocento fu proprio l’industria ad investire nella ricerca scientifica, naturalmente la controparte fu che le scoperte e le invenzioni prodotte dalla ricerca sarebbero state utilizzate, in modo esclusivo, dall’industria che aveva finanziato la ricerca. L’incredibile sviluppo della scienza del XIX sarebbe impensabile senza il supporto dell’industria.
[1] Di questa avidità nel saccheggiare i beni che incontrava sul proprio cammino l’esercito francese abbiamo diretta testimonianza nel Nord Italia, durante le campagne d’Italia il Generale con il suo esercito oltre a depredare dei beni di prima necessita gli abitanti del territorio, raccoglie e porta in Francia anche tesori d’arte di varia natura (Venezia, ad esempio, sarà completamente spogliata delle numerose opera d’arte presenti nei suoi palazzi e nelle sue chiese)
[2] Molto spesso i capitali da investire derivavano dal commercio internazionale.