M2. L’EUROPA DELL’OTTOCENTO

 

1. Europa politica

1.1 Dopo Napoleone i tentativi di restaurazione

1.2 I movimenti rivoluzionari e insurrezionali nella prima metà del secolo

1.3 Austria, Russia e Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento

 

2. Industria, economia e finanza

2.1 Il notevole sviluppo industriale nell’Ottocento

2.2 Economia e finanza

 

3. Un nuovo quadro sociale

3.1 Borghesia capitalistica e proletari

3.2 Incremento demografico, sovrappopolazione, migrazione

 

4. Lo scenario ideologico

4.1 Il pensiero liberale e democratico

4.2 Il pensiero socialista e comunista

 

5. Le conquiste coloniali nel XIX secolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Europa politica

1.1 Dopo Napoleone la Restaurazione

La Rivoluzione francese e le successive conquiste di Napoleone avevano stravolto il quadro politico istituzionale dell’Europa del Settecento. Il Congresso di Vienna (1814-1815), che vide riuniti tutti i rappresentanti delle principali potenze europee, venne convocato proprio con la funzione di restaurare la situazione politico-istituzionale precedente la rivoluzione francese, come se questo evento non fosse mai accaduto. Proprio la volontà di restaurare le condizioni prerivoluzionari, ci consente di definire come periodo di RESTAURAZIONE, gli anni successivi al Congresso.

Le diverse case regnanti europee videro riconosciuti nuovamente i loro diritti di governo nei diversi paesi. Quindi vennero ristabiliti i confini esistenti tra gli Stati, prima delle campagne di Napoleone.

In Francia venne ricollocato sul trono Luigi XVIII (della famiglia dei Borbone) in nome dei principi di legittimità e continuità.

 

1.2. I movimenti rivoluzionari e insurrezionali nella prima metà del secolo

La volontà di restaurazione delle case governanti, dell’aristocrazia, del clero si scontrò ben presto con la realtà di un’Europa profondamente mutata nel quadro sociale, economico, ideologico.

La nascita delle società segrete

La borghesia e il popolo non erano più disposti ad accettare la parte di spettatori davanti alle decisioni prese dai potenti. Gli ideali della rivoluzione francese, diffusi in gran parte d’Europa grazie alle conquiste di Napoleone, non erano spariti con la fine della rivoluzione, semplicemente dovettero trovare delle forme diverse per manifestarsi: è la nascita delle società segrete, associazioni clandestine (formate soprattutto da intellettuali, studenti, artigiani, quadri intermedi dell’esercito) nate per promuovere dei movimenti insurrezionali finalizzati a costringere i sovrani a riconoscere, tramite la concessione di nuove carte costituzionali, nuovi diritti per le classi sociali intermedie (borghesia).

Alla lotta per il riconoscimento dei nuovi diritti si somma, in alcuni paesi, la lotta per l’indipendenza, come avvenne in Italia, in Grecia e in Polonia.   

Le insurrezioni del 1820-21

Grazie alla società segrete, già dal 1820 iniziano i primi moti insurrezionali in vari paesi d’Europa:

·         Spagna

·         Piemonte

·         Regno delle due Sicilie

·         Grecia

La repressione contro queste insurrezioni fu immediata ed efficace, solo la Grecia, dopo alcuni anni di lotta, riuscì ad ottenere, nel 1829, l’indipendenza dalla Turchia (l’indipendeza della Grecia si deve agli interessi che avevano gli stati europei nell’indebolire la potenza turca ottomana).

Le insurrezioni del 1830

Nonostante la repressione, nel 1830 ritornano in tutta Europa dei nuovi movimenti insurrezionali. Questa volta l’epicentro dei moti è la Francia (a Parigi il popolo in lotta costringe alla fuga Carlo X), si estende quindi al Belgio (che riesce ad ottenere l’indipendenza dall’Olanda), alla Polonia (la Polonia non riuscì ad ottenere l’indipendenza dalla Russia, le truppe dello Zar soffocarono nel sangue il movimento indipendentista) e all’Italia (l’insurrezione italiana scoppia in Emilia-Romagna, grazia all’iniziativa, tra gli altri, di Ciro Menotti, dopo un primo parziale successo il moto insurrezionale venne stroncato dalle truppe austriache).

L’insurrezione del 1848 e la fine della Restaurazione

Il rapido sviluppo industriale e il conseguente emergere di nuovi ceti sociali assieme al diffondersi di una più matura coscienza civile e nazionale, non potevano più conciliarsi con forme di potere arretrate e fuori dal tempo. Così, nel 1848, quello che era un semplice contrasto arrivò ad una vera e propria esplosione, uno stravolgimento che coinvolse quasi tutte le grandi potenze europee, una svolta che concluse, dopo 35 anni il periodo della Restaurazione.

I moti del 1848 pur avendo quale denominatore comune il desiderio di cambiamento si manifestano con caratteristiche diverse nei diversi paesi:

Francia

In Francia divengono movimento di popolo, di ispirazione socialista, e portano alla nascita della Seconda Repubblica (la seconda repubblica durerà in Francia dal 1848 al 1852, quindi si ritornerà all’impero)

Stati tedeschi

In Prussia e negli altri stati tedeschi nel movimento di protesta confluiscono l’esigenza di ottenere delle riforme costituzionali, e l’aspirazione alla nascita di un unico stato tedesco unificato. La prima richiesta venne parzialmente accolta con l’accettazione di una costituzione, molto poco liberale in verità, da parte di Federico Guglielmo di Prussia;  la seconda aspirazione non venne invece soddisfatta, nonostante i tentativi fatti dall’assemblea costituente di Francoforte. Per l’unificazione degli stati tedeschi in un unico impero (secondo Reich) bisognerà attendere il 1871 

Impero asburgico

Nell’impero asburgico i moti insurrezionali si caratterizzano sia per la richiesta di riforme costituzionali (nel 1848 i movimenti di piazza di Vienna costrinsero l’imperatore Ferdinando I a fuggire ad Innsbruck), sia e soprattutto per i moti indipendentisti che nacquero spontaneamente in tutto l’impero, da Budapest a Milano (da ricordare l’insurrezione di Venezia guidata da Daniele Manin). Cechi, Croati, Ungheresi, Italiani insorsero per ottenere l’indipendenza dall’Austria, dopo aspre lotte l’esercito imperiale riuscì a fatica ad avere la meglio e a riprendere il controllo di tutto il territorio, Federico I abdica a favore del nipote diciottenne Francesco Giuseppe che governerà dal 1848 al 1916 (con la prima guerra mondiale l’impero asburgico verrà spazzato via dall’esito del conflitto).      

 

1.3 Austria, Russia e Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento

L’Austria e il nuovo impero Austro-Ungarico

L’Austria dopo la disastrosa guerra che la contrappose alla Prussia (1866) sentì il bisogno di rinnovarsi. L’imperatore Francesco Giuseppe I per frenare le spinte autonomistiche dei diversi popoli sottomessi all’impero (Ungheresi, Slavi, Italiani, Rumeni, ecc), pensò di accordarsi con i rappresentanti della popolazione ungherese; l’accordo del 1867 portò le seguenti conseguenze:

 

Le riforme in Russia dello Zar Alessandro II

Anche la Russia doppio la disastrosa guerra di Crimea (1853-55) contro Francia, Inghilterra e Italia, sentì il bisogno di rinnovarsi operando delle radicali riforme nelle proprie istituzioni.

Nel 1861 lo Zar Alessandro II abolì la servitù della gleba dando la libertà a un milione di contadini. Vi furono notevoli riforme anche nel campo amministrativo, giudiziario e universitario. Le riforme dello Zar non andarono, però, oltre e le richieste di ulteriori riforme furono respinte. L’atteggiamento di sostanziale chiusura da parte dello Zar, unito all’impressione che fece la sua reazione alla rivolta polacca del 1863-64, finirono per allontanarlo dalle simpatie del popolo. Nel 1881 Alessandro II venne ucciso da una bomba lanciata da un nichilista contro la sua carrozza.

 

Lo “splendido isolamento” inglese e il problema irlandese

L’Inghilterra grazie ad alcune ottime intuizioni di politica interna (aumento del numero degli elettori nel 1832, e abolizione del dazio sul grano 1846) e soprattutto grazie alle capacità della regina Vittoria (regnò dal 1837 al 1901) nel sapersi circondare da abili primi ministri (come il Palmerston e il Disraeli) visse un periodo di splendida attività economica, anche grazie ai possedimenti coloniali, interessandosi solo marginalmente agli avvenimenti dell’Europa continentale.

Nel 1800 l’Irlanda (in prevalenza cattolica) fu forzatamente annessa alla Gran Bretagna (Atto d’unione), gli irlandesi privati della libertà politica e religiosa iniziarono una serie di agitazioni e rivolte, solo nel 1829 riuscirono ad ottenere il diritto di voto e 42 anni dopo nel 1871 la libertà religiosa. Le richieste autonomistiche degli irlandesi dureranno fino ai nostri giorni.

 

2. Industria, economia e finanza

2.1 Il notevole sviluppo industriale nell’Ottocento

Nata in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, la rivoluzione industriale si diffuse rapidamente su gran parte del continente europeo, anche grazie all’enorme sviluppo delle ferrovie, le conseguenze furono enormi:

Per cercare di comprendere quanto la rivoluzione industriale abbia trasformato la nostra vita, basta confrontare il nostro stile di vita con quello di persone che vivono in un mondo nel quale non vi è ancora stata nessuna rivoluzione industriale, immaginiamo una qualche tribù africana, ci apparirà allora chiaramente quanto l’industrializzazione abbia condizionato la nostra vita.

 

Ricerca scientifica, potere economico, potere politico a sostegno dell’industrializzazione

Se vogliamo poi cercare di comprendere come si spiega uno sviluppo industriale di così vasta portata in pochi anni dobbiamo riflettere su tre fattori determinanti nel decretare il successo industriale.

Il primo fattore è legato alla ricerca scientifica, lo sviluppo della scienza dell’Ottocento va di pari passo con lo sviluppo dell’industria. La ricerca scientifica sostiene l’industria nel fornirle idee per nuovi prodotti da commercializzare a prezzi sempre più bassi, l’industria sostiene la ricerca perché ha bisogno delle idee che solo la ricerca scientifica può offrirle. Dai fertilizzanti, alla lampadina, al telefono, tutti questi prodotti sono la conseguenza dello stretto legame venutosi a creare nel XIX secolo tra ricerca scientifica e industria.

Un secondo fattore che ha contribuito allo sviluppo dell’industria è legato alle enormi possibilità di ricchezza che sono collegate alla produzione industriale, con le industrie, si arricchiscono tutti, i grandi capitalisti che ottengono degli ottimi guadagni dalla vendita dei loro prodotti, ma anche gli operai che ricevono uno stipendio sicuro ogni mese (si pensi all’incertezza della rendita con il lavoro agricolo, vi è sempre il rischio di una siccità, di malattie delle piante o degli animali, ecc. la precarietà e strettamente legata all’agricoltura, mentre il lavoro in fabbrica è più sicuro).

Il terzo fattore è legato alla consapevolezza, da parte della classe politica al governo, dello stretto legame esistente tra ricchezza del paese e industrializzazione. Questa consapevolezza porta ad emanare delle leggi finalizzate a favorire l’industrializzazione e a proteggere la propria industria.

 

Il processo di diffusione non omogeneo dell’Industrializzazione nei diversi paesi europei

Noi oggi vediamo come i principali paesi europei sono all’incirca allo stesso livello di sviluppo industriale, eppure non è sempre stato così, il momento del decollo industriale si colloca, infatti, in momenti anche piuttosto lontani per i diversi paesi:

Quasi sempre dietro ai ritardi si nasconde la particolare situazione politico-istituzionale del paese, si pensi al caso Italia. 

 

2.2 Economia e finanza

Economia

Dello stretto legame tra industria ed economia abbiamo già in parte visto sopra. Merita qui sottolineare l’enorme impatto economico che ebbe l’industrializzazione, i capitali investiti decuplicarono in poco tempo, la ricchezza disponibile aumentò notevolmente sia per i grandi gruppi capitalistici che allora si andavano formando, sia per i cittadini europei coinvolti nel processo di industrializzazione.

La grande produzione industriale spingeva poi per il libero scambio di prodotti tra paesi diversi, tuttavia questo non sempre era conveniente e di volta in volta i vari governi decidevano come comportarsi, consentire un totale libero scambio o intervenire con delle forme di protezionismo. Il libero scambio poteva, infatti, danneggiare la produzione industriale del proprio paese, da qui le decisioni, nei momenti di crisi, di porre un limite allo scambio delle merci tra paesi diversi.

 

Finanza

Per quanto riguarda la finanza bisogna dire che nell’Ottocento le banche assunsero un ruolo fondamentale nella gestione del potere economico, le industrie hanno bisogno delle banche per avere i finanziamenti necessari al loro mantenimento. L’industria di un paese può vivere e svilupparsi solo grazie ad un sistema bancario efficiente.

Anche in questo caso il potere politico intervenne per poter avere una qualche forma di controllo sulle banche. Si comprese ben presto che l’industria poteva funzionare solo se le banche erano in grado di finanziare gli investimenti. Ogni nazione si munì quindi di una banca centrale con il potere di decidere sul costo del denaro e altro.

Altro fenomeno finanziario di grande importanza nato nell’Ottocento è l’investimento per azioni, un sistema che consente ad ogni cittadino di partecipare ai guadagni, o alle perdite, di un’azienda. La banca, in questo caso, funge da mediazione tra industria e azionista.

 

3. Un nuovo quadro sociale

3.1 Borghesia capitalistica e proletari

Borghesia capitalistica e proletari sono i nuovi protagonisti

Come abbiamo avuto modo di anticipare, il processo di industrializzazione ebbe enormi conseguenze anche sulla società. La società che troviamo a fine Ottocento è molto cambiata rispetto a quella d’inizio secolo. Nella società d’inizio Ottocento il potere della proprietà nobiliare terriera è ancora molto elevato, l’aristocrazia ha ancora un ruolo importante. Man mano che il secolo trascorre,però, il centro del potere non è più legato alla terra, ma alla fabbrica, certo rimarranno ancora i proprietari terrieri e i contadini poveri sottomessi, ma non è più attorno alla terra che si gioca il futuro. La parte più viva della società, quella protagonista dei mutamenti, diviene quella rappresentata dai capitalisti, proprietari delle fabbriche e dagli operai. I nuovi protagonisti saranno la borghesia capitalistica e i proletari.

 

Il mutare del rapporto tra capitalisti e proletari

L’Ottocento industriale è centrato sul rapporto tra capitalisti e proletari. Nati come un prodotto della rivoluzione industriale i primi proletari vivevano in condizioni di estrema precarietà e miseria:

Se ci si ammalava o ci si infortunava si veniva licenziati, se diminuiva il lavoro si veniva licenziati, se si protestava si veniva licenziati, era vietata qualsiasi forma di organizzazione, di associazione, di sciopero. La notevole offerta di manodopera permetteva al capitalista di licenziare senza pensarci due volte, avrebbe trovato subito un nuovo operaio.

Questa situazione di grave disagio non poteva durare. D’altra parte le particolari di condizione del lavoro in fabbrica danno luogo a dei gruppi molto numerosi di persone che hanno interessi comuni (gli stessi operai si trovavano poi nei Pub, luogo di incontro nelle poche ore libere dal lavoro), e che sono disposte a lottare assieme per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. La classe borghese comprese da subito quale grave questione sociale, potenzialmente esplosiva, si fosse venuta a creare con il formarsi della classe proletaria, comprese quindi come non si potesse mantenere per molto una totale chiusura nei confronti delle richieste operaie, vi era il rischio una rivolta. Ecco quindi che gradualmente nel corso del secolo, naturalmente in momenti diversi nei diversi paesi (come per la nascita dell’industria, così anche per  il riconoscimento dei diritti degli operai l’Inghilterra fu all’avanguardia), gli operai si videro riconosciuti alcuni fondamentali diritti:

Noi oggi viviamo come naturale il riconoscimento di questi diritti, non dobbiamo però mai dimenticare che dietro ad ognuno di questi riconoscimenti vi sono anni di lotte, di sacrifici, di umiliazioni. Se noi oggi viviamo, come operai, delle accettabili condizioni di vita lo dobbiamo alle lotte, alla caparbietà, alla determinazione, al coraggio di molti uomini del passato.

E’ quindi necessario ricordare come nel nostro paese il riconoscimento di molti di questi diritti sia arrivato molto più tardi rispetto ad altri paesi industrializzati. Dobbiamo arrivare alla fine dell’Ottocento, inizio del Novecento, per veder riconosciuti in Italia molti dei diritti visti sopra.

Concludiamo questo paragrafo ricordando che se gli operai d’Europa vivono oggi una buona condizione di vita, ciò non avviene in moltissime parti del mondo. Vi sono ancora milioni e milioni di persone che vivono e lavorano in condizioni di miseria e di sfruttamento, credo che anche queste persone abbiano il diritto di veder riconosciuta la loro dignità di uomini e di lavoratori, così come è stato per gli europei.

 

3.2 Incremento demografico, sovrappopolazione, migrazione

Incremento demografico e sovrappopolazione

Il fenomeno dell’industrializzazione ebbe quale conseguenza un notevole innalzamento delle condizioni di benessere e ciò porto ad un notevole incremento demografico. La popolazione europea raddoppiò in cento anni: si passo dai quasi 200 milioni di abitanti d’inizio secolo, ai 400 milioni di fine secolo. Un così notevole aumento della popolazione non poteva che incrementare la produzione industriale, e questa portava a nuovi posti di lavoro e quindi nuova spinta per un incremento demografico, in una specie di sistema circolare di sostentamento reciproco. In questo sistema bisogna però sottolineare come non sempre le cose siano andate bene, vi sono stati dei periodi, infatti, (una grave crisi di sovrapproduzione si ebbe verso la fine del secolo) nei quali la produzione industriale subì, per motivi diversi, dei rallentamenti, in questi casi si venne a creare una vera e propria crisi di sovrappopolazione con fenomeni di miseria diffusa e di migrazione di massa. Solo la ripresa produttiva consentì di risolvere il problema della sovrappopolazione.

 

Le grandi migrazioni dell’Ottocento

I notevoli mutamenti dell’Ottocento ebbero quale conseguenza dei consistenti movimenti migratori. Milioni di persone che si spostano alla ricerca di migliori condizioni di vita, alla ricerca di possibilità che mancano nel luogo dove vivono.

I fenomeni migratori sono sostanzialmente di tre tipi:

Un primo notevole fenomeno migratorio si ha dalle campagne alla città, le fabbriche si trovano in città. Se è difficile quantificare il numero di persone che si sono spostate nell’Ottocento dalla campagna alla città, per comprendere l’imponenza del fenomeno basta osservare le periferie delle grandi città industriali. Le grandi periferie urbane sono strettamente legate alla industrializzazione, non vi sarebbero senza di questa, sono nate e cresciute con questa. Per avere un’idea del fenomeno basti pensare che si stima come agli inizi dell’Ottocento solo il 12% degli europei vivesse in città, cento anni dopo saranno il 41%.

Un secondo notevole fenomeno migratorio si ebbe all’interno dell’Europa. Lavoratori che si spostavano da un paese ad un altro alla ricerca di lavoro. Di questo fenomeno l’Italia rappresenta un tipico caso, il suo ritardo nello sviluppo industriale spinse milioni di persone nel cercare lavoro in altri paesi europei. Si calcola che solo tra il 1875 e il 1916 ben 6 milioni di italiani siano emigrati in altri paesi europei (in particolare Svizzera, Germania, Belgio, Francia) alla ricerca di un lavoro.

Le difficoltà vissute dall’Europa nell’Ottocento spinse milioni di europei nel cercare un lavoro in paesi extraeuropei, in particolare negli Stati Uniti. Si calcola che in 100 anni (1815-1915) 48 milioni di europei abbiano abbandonato i loro paesi per trovare lavoro fuori. Australia, Sudafrica, ma soprattutto le Americhe divennero il sogno di molti europei e tra questi moltissimi italiani (tra il 1881 e il 1915 sono 8 milioni gli Italiani a cercare fortuna oltreoceano): “Mamma dammi cento lire che in America voglio andar”, così recita una famosa canzone italiana d’allora.

 

 

 

 

4. Lo scenario ideologico

4.1 Il pensiero liberale e democratico

Il pensiero liberale

Il pensiero liberale avrà un ruolo dominante nel corso del XIX secolo. Secondo la concezione liberale, elemento centrale nella vita della società e dello Stato è l’individuo. Solo nelle condizioni di massima libertà la persona può esprimersi al meglio, ogni intervento esterno volto a limitare la libera iniziativa non può che danneggiare gli individui e di conseguenza l’intera società. In questa visione del mondo l’intervento dello Stato deve essere assolutamente limitato: deve solo garantire che tutti gli individui abbiano le medesime possibilità.

Principale promotrice del pensiero liberale è la classe borghese, dietro il principio della massima libertà all’iniziativa privata si nascondeva la volontà da parte della borghesia di mantenere una situazione di privilegio e ingiustizia sociale.

La forma di governo più consona al pensiero liberale è la monarchia costituzionale a suffragio elettorale censitario. Non tutti i cittadini avevano diritto di voto, ma solo quelli che possedevano particolari requisiti di reddito e cultura. E’ chiaro quindi che quando si affermava che lo Stato doveva garantire a tutti i cittadini le medesime possibilità, con quel “tutti” si intendeva solo una parte della popolazione. Tutti con esclusione dei contadini, degli operai, di quanti non possedevano reddito e cultura adeguata.

 

Il pensiero democratico 

Il pensiero democratico si avvicina al pensiero liberale nel considerare quale elemento centrale della società e dello stato l’individuo, si avvicina anche nel riconoscimento del diritto alla libera iniziativa che deve essere garantita a tutte le persone. Ciò che invece distingue nettamente il pensiero democratico da quello liberale è la convinzione che lo Stato deve avere un maggior peso nei rapporti tra gli individui. Ecco quindi che lo stato non può limitarsi a garantire la libera iniziativa a tutti, ma deve in qualche modo attivarsi per aiutare anche quanti, per nascita, per capacità, per sfortuna si trovano in condizioni svantaggiate.

Uno stato democratico si preoccupa perciò di offrire una scuola pubblica che sia gratuita e di qualità, una sanità pubblica a disposizione di tutti, il diritto allo studio e alla salute vengono riconosci come diritti di tutti, indipendentemente dalla capacità e dal reddito della persona. 

Per i democratici la sovranità è del popolo, il popolo nel suo complesso ha perciò diritto di voto (suffragio universale); la forma istituzionale prediletta è la forma repubblicana.

In Italia qulsiasi studente può accedere alle migliori università, indipendentemente dal reddito del genitore, non così avviene negli Stati Uniti, qui solo chi ha molti soldi può frequentare le università più prestigiose.

 

4.2 Il pensiero socialista e comunista

Il pensiero socialista

Secondo il pensiero socialista il pensiero liberale nasconde, dietro una rivendicazione del diritto alla libertà dell’individuo, la volontà di sfruttamento delle classi più povere da parte della classe borghese. Si nasconde la volontà di mantenere una situazione di ingiustizia sociale nella quale pochi privilegiati godono di una quantità notevole di beni, mentre la maggior parte delle persone vive in miseria.

La giustizia sociale diventa il valore di riferimento per il pensiero socialista, non è sufficiente una uguaglianza nei diritti civili e politici, se poi manca un’uguaglianza sostanziale, ossia un’uguaglianza nelle condizioni di vita e nelle opportunità offerte ad ogni uomo.

Come si può parlare di vera uguaglianza, se in una stessa società convivono situazioni di lusso sfrenato e di assoluta miseria ?  

Il pensiero comunista

Per comprendere i principi del comunismo vediamo quali sono gli elementi essenziali del pensiero di Marx. Il filosofo tedesco viene inviato, in qualità di giornalista, a fare un’inchiesta sulle condizioni di lavoro degli operai londinesi. Venendo a contato con questa realtà Marx rimane particolarmente colpito dalle condizioni di miseria e di sfruttamento alle quali sono sottoposti gli operai stessi (chiamati anche proletari, dato che l’unico bene da loro posseduto sono i figli, la prole appunto).

In particolare il filosofo nota come i proletari subiscano un vero e proprio “furto” del prodotto del loro lavoro da parte del capitalista. Il prodotto industriale è infatti un bene prodotto dall’operaio, ma è il capitalista che tiene per sé, in modo ingiusto e ingiustificato, la maggior parte dei guadagni provenienti dalla vendita di quel prodotto. L’operaio viene in questo modo “alienato” del prodotto del proprio lavoro, la proprietà privata, accumulata dal capitalista, viene quindi vista come un vero e proprio “furto” ai danni dell’operaio.

Di fronte a questa situazione la cosa più importante da fare è far conoscere a tutti gli operai la loro situazione di sfruttamento. Secondo Marx è fondamentale la presa di coscienza della propria condizione di sfruttati.

Il momento successivo è rappresentato dalla lotta di classe considerata quale esito necessario delle contraddizioni del sistema capitalistico di produzione. Proletari e capitalisti arriveranno perciò ad un vero e proprio scontro armato, con esito favorevole per il proletariato.

L’esito favorevole dello scontro di classe consentirà ai proletari di divenire proprietari dei mezzi di produzione. Non vi saranno perciò più classi, in tal modo finirà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Marx aveva previsto che lo scontro di classe (o rivoluzione) dovesse avvenire nei paesi più industrializzati (Inghilterra, Germania, Francia) in realtà le due grandi rivoluzioni comuniste, ispirate al pensiero di Marx sono avvenute in paesi prevalentemente agricoli: Russia e Cina.

Nei paesi industrializzati alla rivoluzione non si è mai arrivati perché una delle previsioni del filosofo tedesco non si è avverata, ossia la convinzione che la classe borghese capitalistica non avrebbe mai ceduto nel riconoscere ai proletari migliori condizioni di vita e maggiori guadagni. In realtà la classe borghese, anche grazie alla mediazione dai sindacati, ha riconosciuto, negli anni i diritti dei lavoratori, senza arrivare a nessuno scontro armato, che d’altra parte sarebbe stato fatale per la borghesia stessa.

 

5. Le conquiste coloniali nel XIX secolo

Alla vigilia del primo conflitto mondiale quasi tutto il “Vecchio mondo” (Africa, Asia) è sotto il controllo delle potenze coloniali europee (nel 1914 più del 95% del territorio africano è controllato dalle potenze europee)  

Il formarsi degli imperi coloniali può essere diviso, per l’Ottocento, in due fasi:

Fenomeno caratteristico del secolo XIX, l’espansione coloniale interessa tutti i maggiori Stati europei.

Principali cause dell’espansione sono:

·         lo sviluppo demografico, per cui si ritenne necessaria la conquista di vasti territori, capaci di assorbire la crescente emigrazione.

·         lo sviluppo industriale, per cui si ritenne necessaria la disponibilità, a basso prezzo, di prodotti presenti nei territori che verranno perciò colonizzati, e nel contempo si vede nelle proprie colonie un enorme mercato in cui vendere a prezzi vantaggiosi quanto prodotto nella madre patria.

I continenti su cui si esercitò l’attività coloniale degli europei furono soprattutto l’Africa e l’Asia, specialmente in seguito all’apertura del canale di Suez (1859-69).

Delle conquiste coloniali di fine Ottocento tratteremo in modo più dettagliato nel modulo dedicato alle grandi potenze europee tra Ottocento e Novecento.